Me lo avevi regalato per il nostro terzo mese insieme. L'avevi visto già tante volte, sullo scaffale. Ogni volta pensando a me. Alle mille idee che mi piaceva scarabocchiare sul diario, sui quaderni, su fogli di carta che finivano stropicciati in fondo allo zaino o in qualche tasca.Ho sempre adorato quei quaderni con l'elastico. Mi avevi spiegato che si chiamano taccuini, che quaderni era un termine volgare per un simile oggetto. Che dietro di loro, dentro di loro, scorreva il mito del passato e i nomi e i sogni di grandi autori ed artisti. Mi avevi costretta a leggere tutta la storiellina contenuta nel foglietto all'interno di quel quaderno (sì, a me piace chiamarlo quaderno. che se dico taccuino, penso al portafogli di mia nonna), e mi avevi detto che era per me.
Per me. Nel giorno che era per noi. Ma quel libricino con l'elastico era solo per me. Me soltanto. E per tutti i miei personaggi, i miei sentimenti e le emozioni che non raccontavo nemmeno a te. All'interno, nella prima pagina, ci avevi scritto "nomen omen". sopra ad un disegnino stilizzato della tua faccetta che mi sbeffeggiava. Era il tuo modo di dire che mi volevi bene. E anche io te ne volevo. Te ne vorrò sempre.
Avevo finalmente un diario. Uno vero. Da tenere con cura. Da custodire gelosamente. Da riempire, fino all'ultima pagina. Ma l'ordine, le pagine così pulite, le righe tutte perfette...certo era bello da vedere. Ma a me metteva ansia. I miei pensieri stavano tanto bene, scarabocchiati tra le parole di un libro. Su fogli vecchi da calcare a forza in un astuccio. Era bello scrivere. Era liberatorio. Ed i pensieri erano sempre tanti. Tante idee. Tante. Troppe. E dovevo scrivere. Scrivere tutto. Lo sai anche tu che dovevo.
Dicevano che era un disturbo. Qualcosa che mi ricorda sempre la parola "geroglifico", ma mi fa anche pensare ad un graffittaro che gioca a dipingere il mondo. Ma grafomania non implica stare bene. Ed io non sto bene. Mi hai sempre detto che, malgrado i miei mi avessero dato il nome Costanza, io di costanza non ne avevo alcuna.
Ho provato ad averne, amore. Ho provato. Ho scritto, ordinatamente, come mi dicevi che era giusto fare. Ma era difficile. Rispettare lo spazio. Rispettare il ritmo. Ho scritto. Tanto. Tutto. Ovunque. Ci sono cose meravigliose tra quelle pagine. Ma ho perso la misura, e quelle pagine non sono nemmeno più leggibili. Ti chiedo scusa. Ti ho deluso. Scusa amore. Scusa.
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